giovedì 28 maggio 2020

Il dolce naufragare di Giacomo Leopardi

Una breve introduzione

 

L'Infinito è una delle liriche più famose di Giacomo Leopardi, maggiore poeta e filosofo italiano dell'Ottocento. Un idillio costituito da 15 endecasillabi sciolti in cui la descrizione del paesaggio risulta strettamente legata allo stato d'animo umano. Connotata da un forte intimismo lirico, la lirica si può dividere in due sezioni: una prima dedicata alla raffigurazione del paesaggio di Recanati e una seconda in cui il filosofo si perde nell'infinito.  Attraverso l'uso dell'immaginazione, egli è in grado di valicare quella siepe che esclude, ostacola il suo sguardo. Al di là di essa egli ritrova spazi dalla lunghezza senza limiti, silenzi sovraumani e una quiete profondissima.

15 versi: il racconto di un processo interiore

 

Il secondo manoscritto autografato de "L'Infinito"

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.




L'Acqua ne "L'Infinito" leopardiano

 

Se all'interno dello Zibaldone ritroviamo dei riferimenti diretti all'elemento acquatico, così non accade nella lirica più celebre del poeta recanatese. Sebbene egli faccia uso di termini che alludono a tale concetto, questo non viene mai pronunciato. Tuttavia, inquadrando la lirica del corretto contesto storico e riflettendo sulla condizione psicologica di Leopardi a noi pervenuta attraverso i suo stessi scritti, è possibile riflettere a lungo sul contenuto della stessa. Ai fini della nostra analisi rilevante è l'ultimo verso in cui appaiono vocaboli, quali naufragar e mare. A differenza dell'accezione comune in cui il naufragare è sinonimo di fallimento, nella poesia leopardiana tale verbo si carica di un significato positivo, tanto da essere definito dolce.
Il naufragare del pensiero del poeta nell'immensità, nell'infinito, è tutt'altro che un evento disastroso. Solo con l'utilizzo dell'immaginazione egli è in grado di valicare i limiti impostagli dalla realtà. Egli può finalmente valicare quella siepe e andare oltre quel caro colle solitario che ha sin dalla nascita contraddistinto la sua esistenza. L'utilizzo quindi di termini legati all'Acqua non è casuale. L'Acqua è un qualcosa in continuo mutamento, un elemento che scorre, che non si arresta davanti agli ostacoli. Essa è in grado di superare anche le sfide più ardue, di erodare anche la pietra più dura...

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